Martedì 18 agosto, all’anteprima nazionale a “Cinema a Palazzo” a Torino per “Un divano a Tunisi”, 800 persone non sono riuscite a entrare (250, invece, quelle che si sono accapparate un posto): una lunga folla, in coda davanti al portone di Palazzo Reale (foto in allegato) ben prima dell’apertura, per un titolo che davvero non ti aspetti. Così, Distretto Cinema, che organizza la rassegna, ha pensato a una seconda presentazione del film sia per i torinesi sia per i turisti presenti in città: sarà lunedì 24 agosto alle 22. «Non è la prima volta quest’anno che non possiamo far entrare tutti: curioso, però, per questo titolo» dice il direttore artistico Fulvio Paganin, che sottolinea anche come, da qualche settimana, si sia registrato un incremento dei turisti italiani e stranieri che a luglio non c’erano.
“Un divano a Tunisi” è un lungometraggio che racconta bene la Tunisia, e in particolare la classe media, lacerata tra modernità, ipocrisie e tradizione. E’ il primo della regista franco-tunisia Manele Labidi Labbé, ambientato all’indomani della Primavera araba quando Selma Derwich, psicanalista di 35 anni, interpretata con grazia e intensità dall’attrice iraniana Golshifteh Farahani, lascia Parigi per aprire un proprio studio alla periferia di Tunisi, dov’è cresciuta. In Tunisia, Selma intende risollevare il morale dei suoi connazionali dopo lo shock della rivoluzione e la caduta di Ben Ali, ma deve scontrarsi con la diffidenza locale, con un’amministrazione passiva e con un poliziotto che le rema contro.
Un film che, ha raccontato la regista, è nato quanto la donna ha svelato alla madre di essere in analisi: «Ho avuto paura che morisse: per una donna tunisina, musulmana e tradizionalista come mia madre, era decisamente troppo».
Nel cast Golshifteh Farahani, Majd Mastoura, Aïcha Ben Miled, Feriel Chamari, Hichem Yacoubi, Najoua Zouhair, Jamel Sassi e Ramla Ayari.