Per festeggiare i suoi primi 15 anni di vita il TorinoFilmLab ha organizzato su FestivalScope la TFL Film Parade, 7 film tra gli oltre 150 sviluppati dal lab nell’arco di questi anni in visione gratuita nei giorni precedenti al TFL Meeting Event, mercato di coproduzione cinematografica che si terrà dal 24 al 26 novembre a Torino. Tra questi film anche l’opera seconda della brasiliana Anita Rocha da Silveira, “Medusa”. L’abbiamo intervistata.
Anita, quando e come hai incontrato il TFL nella tua carriera? Qual è stato il tuo percorso con loro?
Non ricordo esattamente la prima volta che ho sentito parlare di TFL, ma ho alcuni amici che avevano partecitato ai progetti di ScriptLab e FeatureLab prima di me e ho sempre voluto candidarmi. Nel 2017 il progetto di “Medusa” è stato selezionato per ScriptLab e l’esperienza è stata sorprendente: gli scambi, le amicizie, le nuove collaborazioni, e soprattutto la consapevolezza di quanto “Medusa” abbia beneficiato di questo processo.
“Medusa” è il tuo secondo film: come ti è venuta l’idea?
In Brasile abbiamo notato un rialzo dei conservatori fin dal 2013, con una parte della società che ha iniziato a sostenere il ritorno della donna pudica, di colei che deve solo essere devota al proprio uomo.
Intorno al 2015 ho letto diversi articoli su violenti attacchi a ragazze adolescenti, compiuti da altre ragazze che aggredivano in gruppo, nella maggior parte dei casi perché ritenevano la vittima “promiscua”. A volte i capelli delle vittime venivano tagliati e il viso sfregiato, atto essenziale per farle sembrare “brutte”. I motivi addotti per tali atti violenti andavano dal credere che le vittime fossero “troppo belle” all’aver voluto fare colpo sul fidanzato di una delle aggressore, o lo sfoggiare abiti provocatori, dall’ottenere troppi “Mi piace” sulle loro foto di Instagram all’essere percepite come “facili” o “troie” – tutto in un mondo in cui i social network sono diventati strumento di sorveglianza primaria.
Dopo aver letto questo ho subito pensato a Medusa. Nella versione più conosciuta del mito, è descritta come una bella fanciulla, sacerdotessa del tempio di Atena. Ma un giorno cedette alle avances di Poseidone facendo arrabbiare Atena, la dea vergine, che trasformò i suoi bei capelli in serpenti e fece diventare il suo viso così orrendo che chi l’avesse anche solo guardato sarebbe stato tramutato in pietra.
Medusa è stata punita per la sua sessualità, per il desiderio che suscitava, per non essere “pura”. Combinando mito e realtà mi è venuto in mente che, anche con il passare dei secoli, le donne che vogliono controllarsi a vicenda sono diventate parte delle fondamenta stesse di questa civiltà. E, forse, è un nostro modo per mantenere il controllo di noi stesse.
Quali registi ispirano il tuo lavoro?
Per “Medusa” mi sono ispirata molto a David Lynch, Dario Argento e Claire Denis.
Sono affascinata dal modo in cui Lynch lavora attraverso i generi e, a volte, fa uso dell’umorismo per esporre i difetti del “sogno americano”.
Di Argento mi sono ispirata soprattutto a “Suspiria” (1977) e “La Sindrome di Stendhal” (1996), per l’incredibile estetica e l’impegno in un genere, l’horror, fatto in modo spensierato, pieno di umorismo e con piccole trasgressioni.
Per Claire Denis ho pensato in particolare a “Trouble Every Day” (2001) e “Beau Travail” (1999), per il modo in cui la regista è stata capace di inquadrare corpi in un intenso stato di controllo e sublimazione, ma anche alla fine arrendendosi ai desideri più nascosti.
Un altro riferimento è stato “Scappa – Get Out” (2017), di Jordan Peele e il suo eccellente mix di horror, umorismo e commenti sociali. E infine direi “Carrie” (1976) di Brian De Palma, come una delle più chiare e più belle rappresentazioni di ciò che la repressione e l’umiliazione possono fare alle donne.
Il tuo film è pieno di musica e danza: puoi parlarne?
Sono cresciuta suonando il flauto e il clarinetto in un’orchestra giovanile e sono affascinata dai musical da quando ero bambina. Alcuni dei miei film preferiti di tutti i tempi sono “Cantando sotto la pioggia” (1952), “All that jazz” (1979) e “Hedwig la Diva con qualcosa in più” (2001). La musica è una parte importante della mia vita e nel mio processo di scrittura penso sempre alle canzoni e a ciò che potrebbero portare al film in termini di umori e sensazioni.
Prossimi progetti?
Sto lavorando allo sviluppo del mio prossimo progetto di lungometraggio: quello che posso dire ora è che sarà una tragicommedia fantastica, un musical un po’ ispirato alla mia stessa vita.