«Non ho mai visto così tanta gente, 150 persone, in una sala per vedere questo film, neanche quarant’anni fa quando è uscito!», confida entrando nella sala 3 del cinema Massimo Klaus Maeck, storico co-produttore e co-autore del film di culto “Decoder“, datato 1984 e considerato uno dei titoli cardine del movimento cyberpunk, omaggiato nell’edizione 2023 dal Tohorror Fantastic Film Fest. «Quest’anno sta vivendo una nuova vita, sono circa 40 le proiezioni nel mondo che si sono svolte…».
Al termine della proiezione Maeck è stato protagonista di un lungo dialogo con il pubblico presente. «Era l’inizio degli anni Ottanta, Berlino era ancora divisa per la Guerra Fredda ed era una città molto chiusa. Ma c’era un grande fermento, era uscito da poco il primo singolo degli Einstürzende Neubauten, c’era stata la svolta di Burroughs con il suo cut-up e ci chiedevamo perché nessuno lo avesse ancora applicato al video e al suono. Era il periodo della visita di Reagan a Berlino, nel 1982, e un altro collettivo ebbe un’idea simile distribuendo delle cassette e chiedendo di suonarle un giorno preciso a un’ora precisa… L’aria era questa».
In che modo avete collaborato con il regista Muscha, gli viene chiesto. «Fino al giorno dell’inizio delle riprese non sapevamo chi avrebbe diretto, eravamo quattro persone (le altre erano Volker Schäfer e Trini Trimpop, NdI) e in quel momento abbiamo dovuto scegliere uno di noi, pensavamo e agivamo come un collettivo. Abbiamo quindi scritto tutto in sceneggiatura, soprattutto le idee sonore e visive, mentre per i dialoghi abbiamo lasciato improvvisare – dando loro qualche indicazione di massima – gli attori, che non erano professionisti ma presi dalla strada. Rivedendolo ora avrei preferito scrivere tutto, ma lo spirito del tempo era questo!».
Il film è considerato oggi un precursore del cyberpunk. «Ai tempi però non esisteva nulla con questo nome! Quando uscì non piacque a nessuno, specie in Germania. Mentre in Italia tornammo spesso, specie nell’85-86, siete stati subito ricettivi. In particolare il gruppo delle edizioni Shake di Milano, avevano addirittura fatto una fanzine chiamata Decoder».
Maeck non si risparmia e risponde alle curiosità dal pubblico («Perché le rane? Mi ha ispirato ‘La montagna sacra‘ di Jodorowsky, e poi sono un animale che mi piace») e celebra il potere della musica («La musica è un’arma, lo sapevamo e abbiamo cercato di scioccare e disgustare il pubblico per generare reazioni, crediamo di esserci riusciti»), prima di salutare Torino e i 150 spettatori felici dell’esperienza appena condivisa.
Articolo di Carlo Griseri