“Portiamo il meglio del cinema brasiliano a Torino”

Da anni attivi a Milano con un progetto diventato nel 2012 l’Agenda Brasil, la direttrice Regina Nadaes Marques e Marco Palazzini per la seconda volta portano a Torino, negli spazi del cinema Massimo, la loro rassegna che propone il meglio del cinema brasiliano che – purtroppo – poche volte arriva nei normali circuiti distributivi italiani. Li abbiamo intervistati per conoscere meglio la manifestazione.

Come nasce l’Agenda Brasil?

Da una quindicina d’anni ormai ci occupiamo di portare il cinema brasiliano in Italia, prima sotto un’altra veste e dal 2012 a Milano con questa denominazione. Inizialmente si trattava di una rassegna in cui noi selezionavamo i titoli migliori, ma dal 2017 è diventato un vero e proprio festival, dedicato a lungometraggi di fiction e documentari, con un bando e una giuria. Il successo del festival ci ha portato a organizzare l’evento anche a Roma, Genova e Torino, ma solo qui in Piemonte – grazie ad alcuni partner locali come l’Associazione TucàTulà e Casa Brasil – con una importante aggiunta: uno spazio lusofono con film di lingua portoghese ma non brasiliani.

Diamo qualche numero.

A Milano 7 lungometraggi e 6 documentari tra i 45 che si sono iscritti, a cui si aggiungono alcuni titoli che invitiamo. Qui a Torino, ad esempio, è capitato con “George Hilton: Il mondo è degli audaci” che abbiamo voluto inserire.

Come è cambiato il cinema brasiliano in tutti questi anni?

Il discorso sarebbe lungo e complesso! Il cinema brasiliano vive ancora nella memoria di una pagina storica, amata soprattutto dalla critica, come quella del Cinema Novo, a cui sono seguiti alcuni picchi di rinascita sporadici: penso ai film sulle favelas che hanno conquistato i festival internazionali, ma in generale produzione è pensata soprattutto per il mercato interno, si esportano pochissimi lavori.
Con il nostro lavoro abbiamo visto crescere anno dopo anno – a Cannes, ad esempio, ma non solo – i riconoscimenti che nel mondo vengono assegnati ai registi brasiliani (la punta dell’iceberg è sicuramente “La vita invisibile di Euridice Gusmao“).
E il pubblico si sta accorgendo di questi progressi, la forbice di pubblico tra i titoli commerciali e quelli festivalieri è meno evidente.

C’è un filo conduttore nei film proposti nel 2019?

In modo molto naturale rappresentano il Brasile di oggi. Non abbiamo voluto un vero filo conduttore, ma è andata così: emerge il caleidoscopio che è il Paese, tanta musica (per cui è da sempre e ancora oggi una ‘super-potenza’), il tema dell’Amazzonia e non solo. Abbiamo la rappresentazione storica ma anche uno sguardo sulla gioventù che guarda al mondo, la letteratura e molto altro ancora.

Come vedete il prossimo futuro?

È indubbio che la situazione politica attuale lasci qualche preoccupazione. Noi stessi come festival dipendiamo da fondi pubblici e c’è stato un forte taglio alla cultura. La paura della censura, poi, è forte: vedremo se riusciranno a portare a termine i film – sono molti – che si stanno girando in Brasile su questioni politici…
Da sempre la legge che dà finanziamenti si è basata su parametri tecnici, e questo ha favorito la varietà dei temi affrontati: ora le cose sono cambiate, vedremo cosa succederà.