“Affascinata dalla storia dello smemorato di Collegno”

Venerdì 10 gennaio alle 20.30 al cinema Massimo di Torino la regista francese Maïder Fortuné presenterà al pubblico in sala il suo film documentario “L’inconnu de Collegno“, dedicato al caso noto alle cronache come lo “smemorato di Collegno“. Una storia locale che dal 1926 in poi ha affascinato scrittori e registi, in Italia e all’estero, tornando ora ad essere raccontata in città.

Maïder, quando hai conosciuto la storia dello smemorato di Collegno?

Maider Fortuné

Ho scoperto questa storia attraverso un’amica, Annie Mac Donell. Il mio lavoro cinematografico riguarda spesso la questione della memoria, ragiono su come le immagini dei film possano costituire un meccanismo utile a  disseppellire altre immagini mentali altrimenti invisibili. Ho letto e studiato il libro di Frances Yates sul teatro di memoria, e stavo cercando una storia che potesse aiutarmi a sviluppare questo concetto: proprio allora la mia amica mi parlò dello “Smemorato di Collegno”.
Uno dei programmatori dell’Images Festival di Torino usò questa espressione per una selezione di alcuni film d’arte, spiegando brevemente il caso prima di avviare la sessione. Mi ha incuriosita, ho iniziato naturalmente andando su Wikipedia e da lì ho iniziato ad approfondire: ho letto quello che ho trovato in inglese in rete, sufficiente per me per capire quanto questo caso incontrasse tutte le preoccupazioni essenziali per il mio lavoro (la nozione di “figura”, la memoria, l’inconscio collettivo, il fantasma). Sono quindi partita per Collegno qualche mese dopo con un’assistente italiana.

Dove hai girato il film?

Abbiamo girato a Gand, in Belgio, in un complesso culturale degli anni ’30 (l’epoca dei fatti) che si chiama Vooruit. Ho immediatamente capito che non dovevo girare in esterni, volevo esplorare un luogo unico con un teatro al centro, un luogo labirintico come un “teatro della memoria”, ma anche come un labirinto di storie “biografiche” attribuite all’ignoto. Conoscevo il Vooruit perché vi avevo esposto tempo prima alcune mie opere, corrispondeva in tutti i punti a quanto stavo cercando, offriva un labirinto di corridoi e sale prove/studi e un’architettura con decorazioni anni ’30. E soprattutto, nel suo cuore, aveva un’enorme sala teatrale.

Quanto conosci Torino e Collegno?

Sono venuta a Torino con la mia assistente Lucrezia per consultare gli archivi della Biblioteca comunale. In particolare la gigantesca competenza di uno psichiatra, il dottor Coppola, registrata al momento del caso. Siamo anche andate a Collegno, dove abbiamo visitato i luoghi e incontrato l’organizzatore della mostra dedicata al caso (con tutti i giornali che ripercorrevano i fatti giorno per giorno) e infine siamo state all’ospedale dove abbiamo parlato con il professor Tribbioli, che mi ha dato il contatto di una scrittrice psicoanalista, Christine Dal Bon, specialista del caso e autrice di un libro (“Dimentica il suo nome”) dedicato alla vicenda.

Hai visto gli altri film dedicati a questa storia?

Certo! Dopo aver scoperto il caso, sono stata profondamente affascinata dalla ricorrenza con cui è stata adattata per il cinema, al punto che potremmo letteralmente scrivere una storia del mezzo cinematografico!
L’adattamento cinematografico statunitense della pièce di Pirandello “Come tu mi vuoi”, con Greta Garbo, la commedia buffonesca di Corbucci con Totò, il melodramma di Pasquale Festa Campanile con Ben Gazzara, ma anche il feuilleton storico prodotto dalla Rai nel 2009 e una puntata speciale sul caso di “Chi l’ha visto?” dove appariva Julio Canella, nipote di “quel” Giulio Canella che anche io ho incontrato a Verona, subito dopo il mio soggiorno a Torino. Mentre facevo le mie ricerche uno speciale televisivo ha rivelato i risultati del DNA e il caso è tornato ancora sui giornali. Questo incessante ritorno ha giocato un ruolo decisivo nel mio desiderio di lavorare alla mia versione personale, di confrontarmi con questo fenomeno di “ossessione” per un fantasma…

A cosa stai lavorando ora?

Ho appena realizzato un nuovo film con la mia collaboratrice Annie Mac Donell, “Communicating Vessels”, che sarà proiettato alla fine del mese al prossimo festival di Rotterdam, dove l’anno scorso ho ha mostrato “L’inconnu de Collegno”.