Registe (a Torino): Irene Dionisio

Nuova puntata di Registe (a Torino): ospite Irene Dionisio.

Il tuo esordio nel documentario “lungo” è stato “La Fabbrica è Piena”, nel 2011. Come ti sei avvicinata al cinema?

La passione per il cinema mi è nata da bambina, già in famiglia, registrando i VHS dei miei film preferiti per la cineteca di uno zio a cui sono molto affezionata. Concretamente, però, il primo vero lavoro da regista è stato un piccolo doc, cinque ritratti LGBQI a lavoratori dei sindacati dei lavoratori del sesso a Parigi, lo Strass. Grazie a quel progetto, “Fières d’ętre Putes”, ho conosciuto le curatrici d’arte a.titolo, che mi hanno accompagnato nella realizzazione e produzione dei miei documentari successivi, “La Fabbrica è Piena” e “Sponde”.
La mia formazione, nel frattempo, andava avanti tra Italia e Francia grazie agli studi e alle esperienze fatte con registi come Daniele Segre, Marco Bellocchio e Alina Marazzi.

Il sottotitolo de “La Fabbrica è Piena” (la storia di due senzatetto rumeni che vivono nella fabbrica abbandonata della Fiat Officine Grandi Motori – OGM, a Torino) fa capire che non è un semplice documentario: “Tragicommedia in 8 atti”. 

Il lavoro è nato all’interno del progetto d’arte Situa.To: il processo è stato molto interessante. Luiz Antônio Pinho Júnior, un mediatore culturale, aveva incontrato uno dei due protagonisti, Mihai, durante le derive urbane organizzate dagli Stalker all’interno. Dopo questo incontro mi ha proposto di girarne un film.
Racconta una parabola ben più ampia, quella delle OGM che sono passate da punta di diamante della produzione e di sentinella della protesta operaia sessantottina (mi sono avvalsa della collaborazione dell’Archivio del Cinema d’Impresa di Ivrea) a ricovero per senzatetto, dei Didi e Gogo contemporanei in attesa del fantomatico Godot.

Quel documentario ha fatto un ampio giro nei festival più importanti.

Devo moltissimo a quel film. Al festival Filmmaker di Milano abbiamo vinto un premio in ex aequo con Leonardo Di Costanzo e in quella occasione ho conosciuto una programmer e critica a cui devo molto, Daniela Persico, con cui è poi nato un sodalizio che dura tuttora. Poi c’è stato Visions du Réel a Nyon, Terre du Cinéma, il Taiwan International Film Festival, dove ho incontrato quello che è diventato il produttore francese del mio secondo film, il regista e produttore Davy Chou di Vycky Film.
Grazie a “La fabbrica è piena” ho conosciuto Carlo Cresto Dina con cui è nato un dialogo che si trasformerà cinque anni più tardi nel mio primo film di fiction “Le ultime cose”. È stato un percorso importante e sono molto affezionata a quel film.

A seguire hai girato “Sponde. Nel Sicuro Sole del Nord“. 

Girando il mondo con “La Fabbrica è Piena” ho già avuto modo di discutere con potenziali produttori il soggetto di “Sponde”. Era un film molto complesso, per nulla scontato e grazie ai produttori (a.titolo, Davy Chou e Mammut Film) e al sostegno del Premio Solinas, ci siamo riusciti. Produttivamente era un lavoro complesso, sulle due sponde del Mediterraneo, in un momento difficilmente periodizzabile, quello della Primavera Araba. Le riprese si sono concluse subito dopo l’attentato al Bardo visti i rischi che si correvano. Nonostante tutto, nemmeno tre anni dopo era pronto, esordendo nel 2015 in Concorso Internazionale al Festival dei Popoli di Firenze dove ha vinto il Premio del Pubblico.

Nel 2016 sei stata alla Mostra di Venezia con un altro “esordio”, quello nella fiction, “Le Ultime Cose“. 

È nato da un incontro. “La Fabbrica è Piena” aveva sviscerato molte tematiche economiche ed era un argomento che sentivo di voler affrontare ancora. Dopo aver visto “L’uomo del banco dei pegni” di Lumet e “Ladri di biciclette” di De Sica, in cui veniva raccontato il banco dei pegni, mi interessava capire come si era evoluto nel tempo.
Entrando lì dentro mi si è aperto un mondo: da lì, con Cresto Dina è nata la possibilità di fare un primo film di finzione.

In questo periodo su cosa stai lavorando? Hai un film in lavorazione, “La Voce di Arturo”, e tanto altro. 

Dopo i tre anni di direzione del Lovers Film Festival sono tornata a fare la regista, con lavori di arte contemporanea (in primis un progetto per il Centre d’Art Contemporain di Ginevra) e non solo. Nel 2018 il progetto de “La Voce di Arturo” (in sviluppo grazie a Film Commission Torino Piemonte) è stato selezionato dalla Berlinale Talents e questo mi ha convinto a lasciare il festival, sentivo di dovermi concentrare su questo film a cui tengo molto. Era impossibile fare entrambe le cose.
Il “montaggio” produttivo sarà complesso: ora sto lavorando con una bravissima produttrice, Costanza Coldagelli di Matrioska Film, e con la sceneggiatrice Valia Santella, un sodalizio tutto al femminile con professioniste di grande umanità e consapevolezza, valore tutt’altro che scontato.
Ora ci siamo fermate per riflettere su quanto avvenuto. Per me questo è un momento di grande dubbio esistenziale: una pandemia globale ti spinge oltre nelle riflessioni. Il debutto dello spettacolo Queer Picture Show per lo Stabile di Torino è stato rimandato a data da destinarsi, il mio grant a New York per lavorare a “La Voce di Arturo” è stato rimandato nel 2021.
Quando hai di fronte eventi così epocali e che interrompono un flusso che tu consideravi inarrestabile, prova di quanto le nostre azioni abbiano un impatto nocivo sul pianeta, inizi a interrogarti anche sul tuo fare cinema. Tornare alla “normalità” non è per me una delle opzioni.
Chiaramente quindi “La Voce di Arturo” andrà ripensato, non posso immaginare di non considerare come l’inconscio collettivo sia ormai traumatizzato da quanto avvenuto: non capisco chi minimizza tutto ciò.
Inoltre una piccola anticipazione: il mio prossimo set, appena possibile rispetto all’emergenza Covid, sarà con la produzione della Erika Lust Film, pioniera del cinema erotico. Con la riapertura del Museo d’Arte Contemporanea di Rivoli sarà possibile vedere un piccolo video di cui ho curato concept e testi, realizzato con le grafiche, le animazioni e le musiche di Matteo Marini, mio marito.  Sto inoltre attualmente montando una piccola opera d’archivio con la collaborazione preziosa di Home Movies Bologna per l’opera collettiva “Le storie che saremo” prodotto da Ginko Film.