Registe (a Torino): Chiara Pacilli

Nuova puntata di Registe (a Torino): ospite Chiara Pacilli.

Quando hai iniziato ad avvicinarti al mondo del cinema?

Dedicarsi al cinema non è una cosa che si decide, l’ho sempre amato da spettatrice – ricordo bene il primo autobus preso da sola, era il 63, per andare al Reposi per vedere un film… – e costringevo tutti a venire con me, sceglievo sempre io! Una volta da bambina portai i miei a vedere ” Voglia di tenerezza”…
Il cinema è sempre stato nell’aria, ma ho sempre pensato fosse troppo difficile farlo come lavoro, fosse troppo lontano da me. Ho iniziato prima con la radio, poi sono arrivata in televisione dove mi sono state messe a disposizione le telecamere, e allora mi sono fatta spiegare il mestiere dai miei colleghi, serviva qualcuno che conoscesse il mezzo anche per problemi di turni, io facevo i servizi dai concerti e spesso non c’era nessuno che mi potesse seguire. Tanti mi hanno aiutato (come il mio amico Bruno Dreossi, grande direttore fotografia oggi scomparso, che mi ha accompagnato a prendere la mia prima videocamera e mi ha dato le prime dritte). Un pezzo alla volta, e sul campo sono diventata una regista.

Hai realizzato tanti lavori per la tv e molti al di fuori: quale consideri il tuo vero esordio autoriale?

“Les yeux ouverts – Lo sguardo a colori di Benetton”, che nel 2006 ho scritto per Raisat Extra, è il primo in cui ho pensato a “come” si doveva realizzarlo, ma “Surfin’ Torino” è il primo documentario vero e proprio che considero “mio”.
Avevamo (io e Boosta, che ha diretto con me) tutta una parete di fogli A4 che costituivano l’impianto completo del film e mano a mano che andavamo avanti le sottraevamo… In quel momento tutti adoravano Torino, l’avevano appena scoperta in occasione delle Olimpiadi e non si capacitavano che “esistesse” in quella forma. Io e Boosta avevamo vissuto tutto ciò che aveva portato lì (non era certo nata in un giorno!) e parlando con Rai Cinema ci dissero: perché non ce lo raccontate? Hanno scommesso sul progetto e devo dire che è andata benissimo.
Nel 2007 c’era un progetto di Rai Cinema di raccontare le varie realtà edificanti del Paese, progetto poi miseramente franato perché è arrivato il 2008 e la crisi: così è rimasto solo “Surfin’ Torino”. Quello che a noi premeva non era raccontare l’oggi (che ormai è un bello ieri…) ma il sottobosco cittadino che negli anni precedenti avevano permesso ad arrivare fino a lì, la “resurrezione” di Torino e l’ondata di creatività che aveva sommerso la città. Prima della cerimonia di Olimpiadi esistevamo già!
Un anno dopo, casualmente perché era un progetto che doveva seguire un’altra persona ma che poi si era tirata indietro, mi hanno chiesto di girare “Izz Tru’ – Storie del Traffic 07”, che forse si può considerare una prosecuzione di quel racconto…

Nel 2011 hai girato un altro documentario torinese, “Ho visto cose”. 

Quello è l’amore mio! Scherzo, ma è sicuramente il mio preferito. Maurizio Tedesco, che lo ha prodotto e co-diretto, dopo il successo di “Surfin’ Torino” voleva tornare sul racconto della città. “Ho visto cose” apparentemente è una storia su Torino, non poteva che essere raccontata qui dove ci sono tutte le contraddizioni di “aulicità” e di follia sotterranea, e qui sono vissuti tutti i personaggi di cui si parla e soprattutto Gustavo Rol, che ne è il centro.
Tutti lo avevano raccontato con un occhio di riguardo per le sue straordinarie capacità di farti vedere cose che non esistono, a molti sembrava un mago, era un sensitivo e piaceva molto per questo. Volevo far trasparire la sua umanità, mi fa sempre venire in mente la frase dell’Uomo Ragno, “da grandi poteri derivano grandi responsabilità…”.
Non dimentichiamoci che a Jackie Kennedy annunciò che le sue mani si sarebbero sporcate di sangue (molti interpretarono la cosa come un suo possibile omicidio del marito John, invece sappiamo come poi andò…) e che venne mandato via da Mussolini perché gli aveva predetto che sarebbe finito “a testa in giù”!

In mezzo a questi documentari, hai girato anche il corto di fiction “Nuvola benedetta”. 

È stato un vero e proprio instant movie, girato nei giorni in cui a Torino si svolgeva il 25esimo festival del cinema gay e contemporaneamente l’ostensione della Sindone. Solo a Torino due cose così potevano essere simultanee… oltre tutto erano i giorni in cui l’esplosione vulcano islandese Grimsvotn aveva bloccato tutti i voli. Vedevo convivere chi andava alla Sindone e chi andava al festival, sui giornali scrivevano di polemiche ma nella città non c’era nulla di tutto ciò. Allora abbiamo preso due attori che inscenassero una storia d’amore gay tra l’ostensione e il festival, e alla fine uno dei due doveva ripartire ma il vulcano lo rendeva impossibile facilitando il trionfo dell’amore!
Una cosa piccola, che però oltre alla proiezione al festival torinese ha anche aperto l’Europride a Roma!

Da allora non risultano altri documentari: stai lavorando su qualcosa adesso? 

Vero, da allora non ho girato altri documentari, ma non ho mai smesso. Allevo cavalli e produco miele, ho scritto molti progetti che per vari motivi non sono entrati in produzione. Ora sto scrivendo cose nuove, ma non dico altro perché sono scaramantica. Nel frattempo ho saziato la mia fame di immagini occupandomi della documentazione video per lo Stabile e per Torino Danza, con consulenze e collaborazioni varie. Farsi finanziare un progetto è una cosa da novene a tutti i santi… anche se finora sempre stata fortunata, ci vuole la giusta convinzione per iniziare di nuovo il processo. In questi anni sono stata impegnata a sopravvivere, ma ora mi sento pronta per tornare a girare qualcosa di mio!