Giovanni Anzaldo presenta il suo primo romanzo ai Laboratori di Barriera

Viene presentato in anteprima lunedì 11 ottobre a Torino “Vite al macello” il primo libro di Giovanni Anzaldo, attore torinese protagonista dei film “Razzabastarda” di Alessandro Gassman, “Il capitale umano” di Paolo Virzì, “Non è un paese per giovani” di Giovanni Veronesi e attualmente su Netflix tra i protagonisti di “Summertime”, serie generazionale record di ascolti.

L’appuntamento è un luogo della “nuova Torino”, i Laboratori di Barriera, alla presenza di Anzaldo, del regista torinese Marco Ponti, di Natalia Ceravolo, del gruppo musicale Sweet Life Society e degli attori del Teatro Stabile Giulia Rupi, Elio D’Alessandro, Roberta Lanave che presteranno la loro voce ai personaggi del libro. Inizio alle 19.

Un libro per una visione – inedita e molto ironica – sui sentimenti.  Una storia di Nord e Sud Italia, di emigrazione, di famiglie italiane, di lavoro e di figli, di sogni di benessere e case al mare. Un libro ambientato a Torino, ma non la solita città, il salotto buono di cui siamo abituati a sentir raccontare. La Torino raccontata da Anzaldo è quella della provincia, dei paesi che cingono la metropoli, pieni di malinconia e voglia di evadere, paesi capaci di salvare e dannare.

La trama. Vite al macello è la storia di M., “capostipite” della famiglia A., macellaio di origini siciliane dedito al risparmio e all’alcolismo. È un romanzo autobiografico, ambientato nella provincia matta e disperatissima di Torino, in cui al centro della vicenda c’è l’amore turbolento tra M. ed F., finito malamente dopo quarantacinque anni di matrimonio. Con un linguaggio dissacrante, ironico e politicamente scorretto ci si addentra nelle dinamiche di una “classica” famiglia di commercianti: il fervore religioso di F., le risse nel retro di una macelleria, gli esorcismi sulle due figlie ed infine il divorzio, la vendita della casa e le conseguenti ripicche e vendette. M. ed F., dopo la separazione, diventano due adolescenti che a colpi di Tinder e tinte ai capelli cercano di rifarsi una vita. In tutto questo ci sono i parenti e gli amici della famiglia A., gente che non ha nulla da invidiare al cast dei Soprano.

La storia comincia quando il livore di M. nei confronti della moglie ha già raggiunto il suo apice, poi si procede a ritroso, nell’inospitale provincia torinese degli anni sessanta dove l’immigrato del sud non aveva vita facile. M. è un Martin Eden che non ce la fa, un antieroe che ce la mette tutta, ma che sbaglia sempre. F. invece è una donna divisa tra gruppi ecclesiastici, famiglia e lavoro, ma che poi, con un colpo di coda inaspettato, ribalta tutto. E naturalmente ci sono i loro tre figli, spettatori di quell’amabile circo, indecisi se scappare via o farci su un business. Nelle case non c’è niente di buono, diceva Céline, ma c’è anche qualcosa di profondamente tragicomico che sarebbe un peccato tacere, almeno in questo caso. Vite al macello è un mazzo di chiavi che ti fa entrare in una casa con vista panoramica su una rotonda ed è un miracolo se, varcando la porta, non si viene colpiti da un piatto, una preghiera o un pintone di vino.

Un romanzo a partire da una storia famigliare molto particolare. Una donna, la madre dell’autore, che dopo 45 anni di matrimonio si separa. «Partiamo dal fatto che ogni famiglia merita un romanzo. Siamo tutti convinti, a ragione, che le nostre storie siano uniche e meritino di essere raccontate. Quello che mi ha spinto a scrivere è stata una scintilla che credo sia figlia del periodo in cui viviamo. I miei si sono separati dopo 45 anni di matrimonio, quando noi figli eravamo ormai grandi e quindi teoricamente pronti a un simile trauma. A 65 anni mia madre si è innamorata di un uomo molto più grande e ha ribaltato il meccanismo a cui eravamo tutti abituati; da qui parte la storia: da un uomo (mio padre) che non accetta che la sua vita possa stravolgersi. Come narratore esterno mi interrogo su quella che era la loro storia e da dove può avere avuto inizio quella crepa che poi ha fatto prendere loro strade diverse. Le storie che si muovono dentro le nostre case sono come quei giochi in cui bisogna unire i punti per comporre alcune figure, se un punto si sposta la figura cambia. La scelta di un elemento ricade su tutti gli altri, nel bene e nel male. Quindi cerco di affrontare la domanda delle domande: Cosa sono le famiglie? Da cosa sono fatte? I miei sono due macellai e la mia vita l’ho passata nel retro dei vari negozi che hanno cambiato. Nel periodo in cui non stavamo in negozio c’era la periferia. Tremenda in alcuni casi, salvifica in altri, e di questo parlo in abbondanza. Poi ci sono i parenti, tutti immigrati con la sigaretta in bocca, tutti ambiziosi e legati morbosamente tra loro come se la parentela fosse un patto di sangue. Se Scorsese avesse conosciuto uno solo dei miei zii ci avrebbe fatto su una trilogia, credo».

Da un attore un libro che sembra molto un film. «Il mio libro è un film. Non avevo i soldi e il tempo per mettermi alla ricerca di un produttore, allora ho preferito piazzarmi davanti ad un computer. C’è una colonna sonora suggerita per ogni capitolo, ci sono location descritte come se si trattasse di una sceneggiatura e, naturalmente, dialoghi, tanti dialoghi come una pièce teatrale. Il mio lavoro mi porta a divorare copioni teatrali, script e credo che questo abbia influito. È un romanzo rock. Se ci sono delle sospensioni, subito dopo si riparte con una schitarrata. È il racconto di una famiglia disperata urlato al microfono, con un sacco di gente che poga sotto il palco e se ci sono dei pezzi tristi tuttalpiù sono come November Rain dei Guns, dopo che per sessanta minuti hanno suonato Welcome to the jungle».

Classe 1987, Anzaldo nasce e si forma a Torino, dove si diploma nel 2009 alla Scuola del Teatro Stabile di Torino, fondata da Luca Ronconi e diretta da Mauro Avogadro. Nel 2010 vince il premio “Ubu” come miglior attore under 30 per lo spettacolo teatrale Roman e il suo cucciolo diretto da Alessandro Gassman. Dal 2013 è tra i protagonisti dei film Razzabastarda di Alessandro Gassman, Il capitale umano di Paolo Virzì e Non è un paese per giovani di Giovanni Veronesi. Esordisce alla drammaturgia e regia nel 2014 con Sullo stress del piccione, spettacolo teatrale che racconta la storia di quattro giovani sognatori. Attualmente su Netlix è tra i protagonisti di Summertime, serie generazionale record di ascolti.