Alla scoperta di Djibril Diop Mambéty

Domenica 13 ottobre alle ore 20.30, in occasione dell’omaggio del cinema Massimo al cinema del regista africano Djibril Diop Mambety, verrà presentato anche il volume Djibril Diop Mambéty o il viaggio della iena, a cura di Simona Cella e Cinzia Quadrati, in collaborazione con Alessandra Speciale (ed. L’Harmattan Italia). Le abbiamo intervistate per saperne di più.

In che momento della vostra vita avete incontrato il cinema di Djibril Diop Mambéty? Quale film, quale contesto…

Cinzia Quadrati (C.Q.): Studiavo Storia del cinema all’università a Pavia a metà anni ’90 e mi interessavo in generale di Africa, quindi, quando potevo andavo a Milano per la rassegna “Il lontano presente” del Coe, che organizzava il Festival del Cinema Africano (ora anche d’Asia e America Latina) e rimasi molto colpita dalla visione di Touki Bouki, così diverso dagli altri film che stavo conoscendo, così spiazzante, così dirompente… Quel giorno ho deciso che avrei fatto la mia tesi su di lui.

Simona Cella (S.C.): Nel 1995 a Milano ho visto Hyenes e sono rimasta folgorata. Lo stesso anno ho incontrato Mambéty durante il Festival del Cinema Africano dove presentava Le Franc. l’anno successivo sono andata a Dakar dove ho incontrato Mansour Diouf, l’attore di Hyenes che mi ha portato nei luoghi dove era stato girato il film. Scoprendo Dakar ho capito più in profondità il cinema di Mambéty.

La scelta di scrivere questo libro com’è nata? Da chi? Come avete lavorato?

C.Q. e S.C.: Incontrateci al Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina di Milano, innamorate del cinema di Djibril, per qualche anno ci siamo dette che avremmo dovuto pensare a un libro su di lui, visto poi che in Italia non esisteva niente a riguardo, finché è arrivato il 2018, il ventesimo anniversario della sua morte ed abbiamo detto: “È il momento!”. Così siamo andate da Alessandra, direttrice del Festival e le abbiamo comunicato il nostro progetto. Il Coe non aveva molti fondi, ci ha potuto sostenere economicamente solo in parte, così abbiamo lanciato un crowdfunding su Indiegogo per pagare le spese di edizione e di traduzione. Abbiamo pensato ad un’opera collettiva, che desse uno sguardo plurimo, da differenti angolazioni, sulla sua opera, così abbiamo coinvolto storici e critici, italiani e stranieri che hanno accettato con entusiasmo.

Che ruolo ha oggi Djibril Diop Mambéty nel cinema africano? Quanto è seguito, quanto è di ispirazione per i suoi colleghi?

C.Q.: Il suo cinema era innovativo, rivoluzionario, profetico nel 1973, quando realizzò Touki Bouki, il primo lungometraggio e non cessa di essere attuale e senza tempo. Non è nata una scuola dalla sua opera, ma tracce, ispirazione si possono trovare nei migliori registi senegalesi e africani di oggi, come Alain Gomis e Abderrahmane Sissako.

S.C.: A Dakar ho incontrato molti giovani studenti e aspiranti registi che si ispirano al cinema di Mambéty. In questo momento i giovani sentono la necessità di un cinema ribelle e controcorrente.
La nipote di Mambéty,per esempio, Mati Diop ha realizzato un interessante documentario su Touki Bouki e sicuramente reso omaggio a questo film anche con Atlantique, premiato quest’anno a Cannes con il Grand Prix.

Perché secondo voi uno spettatore italiano oggi dovrebbe avvicinarsi al suoi cinema? Quali le caratteristiche uniche del suo lavoro?

C.Q.: Perché il suo linguaggio cinematografico è così potente, così personale e così universale allo stesso tempo, perché fonde tradizioni culturali ancestrali africane con un immaginario, una visionarietà che sfugge ad ogni etichetta.

S.C.: È un cinema fortemente politico, ancora molto attuale. Dimostra come le sperimentazione artistica possa rafforzare un’analisi critica sul proprio paese e su alcuni fenomeni cruciali della contemporaneità quali globalizzazione e fenomeni migratori.

Una parola sulla prefazione di Martin Scorsese: come siete arrivate ad ottenerla?

C.Q. e S. C.: Dal momento che Martin Scorsese con la sua World Cinema Foundation aveva restaurato, nel 2008, Touki Bouki, in collaborazione con la Fondazione Cineteca di Bologna ci siamo rivolte alla Cineteca di Bologna e, candidamente, abbiamo chiesto se pensavano che Scorsese potesse scriverci una prefazione al libro e la Cineteca, oltre a darci un sostegno economico, ci ha detto: “Si può provare”. Con nostra immensa incredulità e soddisfazione, Scorsese ha detto sì! Abbiamo un po’ aspettato i suoi tempi, cosa che ci ha fatto ritardare la pubblicazione, slittata nel 2019, ma ne è valsa assolutamente la pena!