Esmeralda Calabria presenta “Parlate a bassa voce”

Montatrice tra le più apprezzate e richieste del cinema italiano, saltuariamente Esmeralda Calabria si concede anche alla regia: per la prima volta “in solitaria”, al TFF40 ha presentato il doc “Parlate a bassa voce” (Italia 2022, 84′) e torna a Torino domenica 12 marzo alle 20.45 al cinema Massimo per incontrare nuovamente il pubblico.

Tutto è nato dall’incontro con Redi Hasa, violoncellista che è il protagonista del film. Raccontare l’Albania non è facile, tramite la sua conoscenza ho potuto capirne qualcosa di più: raccontiamo l’Albania del regime e la memoria di un tempo passato, in parte anche rimpianto. Non ci sono gli sbarchi, non c’è la disperazione. Volevo fare in modo che le persone intervistate prendessero atto di non doversi vergognare di nulla“, racconta lei stessa.

In Albania c’è un’identità culturale molto forte, il loro sapere però non è riconosciuto. Per molti motivi: penso alle coriste che intervisto nel documentario, loro giravano il mondo per rappresentare il loro Paese e dopo la caduta del regime non hanno avuto più nulla, l’arte era propaganda vero ma dopo non c’è stato più nulla, il liberismo ha annullato la cultura, si è distrutto il coinvolgimento del popolo“.

Una signora ottantenne intervistata dice che si è “instaurata la democrazia”, una scelta espressiva non indifferente. La memoria è però per fortuna rimasta negli archivi, per me anche come montatrice è stato un privilegio poterli esplorare, è stato molto emozionante scoprire pagine di storia che non conoscevo e che ho potuto riportare alla luce“.

LA TRAMA

Albania, il più impenetrabile dei paesi ex comunisti in Europa. Isolazionista, stalinista e antirevisionista. Il peso di una memoria che a più di 30 anni dalla caduta del regime convive con tutti i personaggi incontrati nel film. Musicisti, attori, registi, privilegiati e declassati, raccontano le contraddizioni di un sistema che ha il volto del dittatore Enver Hoxha, che come un Grande Padre ha dato e tolto. Un passato ingombrante che accentua le fragilità e le ambiguità della giovane democrazia.
Tutto quello che oggi può sembrare una parodia, all’epoca non lo era e Redi Hasa, musicista violoncellista, inizia un viaggio che parte dai ricordi, dalla paura di dimenticare e dal desiderio di fermare il tempo.

LA RECENSIONE (a firma Sara Galignano)

É la contraddizione il nucleo centrale di “Parlate a bassa voce”, documentario di Esmeralda Calabria che racconta l’Albania del passato e del presente attraverso le parole di chi è rimasto e di chi se n’è andato.

Grazie all’incontro della regista con Redi Hasa, violoncellista esule in Puglia dalla guerra civile del 1997, e uno dei suoi fratelli, prende il via la descrizione di una società a noi sconosciuta, dove in passato (e quando si parla di passato si intende il regime comunista di Enver Hoxha) la cultura era un caposaldo, nessuno era analfabeta e paradossalmente, nonostante le difficoltà pratiche, “tutti erano felici”. Ma questo quadro che non ci aspetteremmo si sgretola lentamente nei ricordi quando risalgono alla memoria episodi di esclusione/punizione/soppressione di chi non si è uniformato: l’attenzione diffusa e ‘paterna’ verso il popolo intero e i singoli che ne facevano parte ha avuto come controcanto la loro oppressione. L’ideologia comunista contro quella corruttrice capitalista, continuano a raccontare, ha portato in carcere chi cantava musiche occidentali, ha vietato l’esecuzione di artisti ‘passati all’imperialismo’, ha condannato ai lavori forzati chi voleva andarsene, ha emarginato e punito.

Dalla Puglia parte allora un viaggio di ritorno in Albania dove la regista e il suo Virgilio violoncellista raccolgono tante testimonianze che confermeranno questo stesso sentimento diffuso: l’amore/odio degli albanesi verso il loro passato regime, verso il padre dittatore ‘Enver’ e, in fondo, verso se stessi. Orgogliosi e nostalgici di ciò che hanno avuto e hanno perso ma allo stesso tempo critici verso il contesto di quegli anni.

Per ancorare il racconto ancor più a quegli anni, le riprese sono arricchite da tanti video storici che la regista, anche montatrice, sovrappone spesso all’attualità proiettandoli su muri e scenografie; video che mostrano il fenomeno di massa nato intorno a questo regime isolazionista e antirevisionista, una sorta di ‘noi contro tutti’; immagini che creano a volte sconcerto, altre volte un dissonante effetto grottesco.

Grazie all’apporto di Hasa (e degli artisti incontrati durante il percorso) alle immagini si intreccia poi fatalmente la colonna sonora: folkloristica e sperimentale allo stesso tempo, a cavallo tra le sonorità della sua terra e quelle pugliesi, la musica passa dall’essere protagonista nelle diverse performance dal vivo al dare il giusto sostegno evocativo di ciò che vediamo.