Torna In Cordata, lunedì 12 proiezione di “Sherpa” al cinema Massimo

In cordata, la rassegna dedicata alla montagna, giunge al quarto e ultimo appuntamento cinematografico della stagione presentando lunedì 12 novembre, alle ore 20.30, nella Sala 1 del Cinema Massimo, nell’incontro intitolato “Everest di paura”, il film Sherpa.

Diretto dall’australiana Jennifer Peedom,  documentarista veterana dell’Everest, il film è un reportage sugli eventi drammatici accaduti di recente sul Tetto del mondo e, allo stesso tempo, sul pay-to-play game di massa in cui oggi si è trasformata la conquista di una cima un tempo riservata ai migliori scalatori del pianeta.

Protagonisti del film sono lo sherpa Phurba Tashi, in procinto di battere il record del mondo con la sua 22esima ascensione sul “Chomolungma” ‒ la “Dea madre della Terra”, come i nepalesi chiamano la montagna a loro sacra – e il suo alter ego, Russell Brice, uno dei più attivi organizzatori di spedizioni occidentali sull’Everest. Il film segue il loro lavoro nel cosiddetto “Circo dell’Everest”, dove l’obiettivo è di “riuscire a portare tutti” sulla cima nel massimo agio e comfort possibile. Tra enormi padiglioni-ristoranti allestiti nei campi-base più bassi, tè e asciugamani caldi serviti al mattino tenda per tenda in quelli più alti, mentre lunghe file di scalatori creano ingorghi sulle vie d’ascesa degni delle strade per il mare ad agosto, il peso di quella che ormai è diventata un’industria multimilionaria di servizi grava interamente, e sempre più pesantemente, sulle spalle degli sherpa: un cambiamento che, come sottolinea il film, ha determinato anche profonde trasformazioni sociali e culturali del territorio che circonda la montagna.

La figura dello sherpa sta cambiando, i tempi del fido e sorridente Tenzing Norgay che nel 1953 scortava Hillary in vetta accontentandosi di una fama di serie B sono lontani. Oggi scalare l’Everest può arrivare a costare per il ricco scalatore occidentale anche 100mila dollari, uno sherpa ne guadagna circa 5mila in due mesi di spedizione: tantissimo rispetto al salario medio annuale dei loro corregionali e tuttavia una piccola fetta dell’enorme business complessivo. La sproporzione ha creato un malcontento crescente, soprattutto negli sherpa più giovani, sfociato, nel 2013, nell’aspro scontro tra questi e un gruppo di scalatori occidentali a 6700 metri di quota, “la rissa più alta della storia” prospettata nel film come la prima avvisaglia di una situazione destinata a degenerare. Le nuove generazioni di sherpa sono andate al liceo, vedono su Facebook il credito che gli occidentali si intestano per imprese in cui, in realtà, sono loro a fare il lavoro più duro e più pericoloso.

Nonostante l’impiego  di nuove attrezzature e di tecnologie avanzate, la scalata dell’Everest non è, infatti, per nulla più sicura oggi che in passato. Anzi: i cambiamenti climatici l’hanno resa anche più rischiosa, soprattutto nel passaggio obbligato della Khumbu Icefall, la “Cascata di giaccio” ‒ che uno sherpa attraversa venti o trenta volte a stagione, per trasportare viveri e preparare le vie di ascensione, a fronte delle due in media dello scalatore occidentale ‒ e dove la formazione di crepacci e il distacco di seracchi sono un pericolo mortale costante. Qui infatti, il 18 aprile 2014, una valanga di 14mila tonnellate di ghiaccio e neve provocata da un seracco gigante collassato dalla spalla ovest della montagna ha ucciso tredici sherpa e tre operatori nepalesi: la peggior tragedia mai registrata nella storia delle scalate sull’Everest, destinata ad avere pesanti conseguenze nell’immediato – puntualmente documentate dal film – e a innescare riflessioni e discussioni anche in Occidente sull’eticità delle spedizioni commerciali sul Tetto del mondo.

Se, subito dopo la morte dei compagni, gli sherpa hanno dato il via a una rivolta organizzata, imponendo la cancellazione delle restanti scalate della stagione e avanzando un preciso cartello di richieste al governo nepalese (beneficiario di cospicue royalties da parte degli operatori occidentali che organizzano le ascensioni), e Phurba Tashi non ha mai conquistato il record del mondo e si è ritirato dall’attività, nell’aprile 2015 è stato il terribile terremoto in Nepal a mettere provvisoriamente fine al Circo dell’Everest. Non però alle riflessioni che lo riguardano. Al termine della proiezione, in un dibattito condotto dallo storico dell’alpinismo Enrico Camanni, interverrà  l’himailaista Valter Perlino, che nel 2008 ha salito l’Everest in coppia con l’amico Ngima Sherpa, al di fuori delle spedizioni commerciali, e che sottolinea come gli sherpa siano “gente del Tibet stabilitasi in Nepal da generazioni, che mai si sarebbe sognata di scalare le montagne e fare di questo mestiere una professione se non fossero arrivati prima gli esploratori e poi gli alpinisti occidentali. Un tempo per loro solo l’idea di salire sulla vetta di un’alta montagna innevata stava a metà strada tra l’idiozia e il sacrilegio. L’Himalaya rappresenta ancor oggi per loro la terra degli dei e la montagna non è solo il luogo in cui risiedono le divinità, ma è lei stessa figura divina”.

“Oggi – prosegue Perlino – non sono certo più portatori in infradito, ma continuano ad essere facchini di ogni nostra comodità, in alta quota. Le spedizioni commerciali agli ottomila, ma non solo, non potrebbero più fare a meno di loro. Ora al loro apporto alle salite alpinistiche è reso maggior merito che in passato, ma va anche detto che gli sherpa scalano per soldi, onestamente e semplicemente per denaro; in due mesi guadagnano quanto un sirdar in un anno, non parliamo poi di confronti con chi vive con quanto la terra offre. Nessuno di loro tornerebbe indietro. Ma proprio per questo la loro cultura è a rischio, così come è a rischio l’ambiente dell’intero ecosistema himalayano. Essi sono sicuramente utilizzati senza troppi scrupoli dagli alpinisti, ma in fondo rappresentano unicamente la punta di un iceberg rispetto all’“Altro” nel suo insieme sfruttato dal mondo occidentale. La cosa più importante è rendere loro merito come uomini, riconoscere il loro apporto essenziale non utilizzandoli come animali da soma, ma considerandoli come compagni con cui condividere decisioni, rischi, fatiche e gioie. Imparare da loro che lo scandere alla vetta – che non esiste nel loro vocabolario ‒ non è un arrogante desiderio di conquista ma un rendere omaggio alla montagna, chiedendole udienza, aspettando la sua benedizione. Lassù non si sfida nulla e nessuno, semmai si è semplicemente accettati”.

La proiezione è a ingresso libero, previo il ritiro del biglietto gratuito, a partire da 30 minuti prima dello spettacolo presso la cassa del Cinema Massimo (via Verdi 18, Torino; tel. 011 8138860).