Xavier Dolan a Torino: foto (con intervista) della sua giornata sotto la Mole

Dal mattino alla sera, poche ma intense le ore passate a Torino dal regista e attore canadese Xavier Dolan, invitato dal Museo Nazionale del Cinema per tenere una masterclass in Mole Antonelliana e ricevere dalle mani della direttrice del Lovers Film Festival Vladimir Luxuria il Premio Stella della Mole. Al mattino la visita del Museo, a pranzo l’incontro con la stampa locale, nel pomeriggio una masterclass da tutto esaurito (indossando la maglietta del suo film preferito, “Titanic”) e la sera il caldo abbraccio (con standing ovation) dei 450 spettatori del cinema Massimo, prima della proiezione del suo capolavoro “Laurence Anyways”.

Trentatreenne, già autore a 16 anni della sceneggiatura di un film (“J’ai tué ma mère”) con cui venne selezionato nel 2009 a Cannes, è uno dei nomi di punta del cinema d’autore internazionale, corteggiato dai festival di tutto il mondo e idolatrato da un folto numero di fan. «E’ la mia prima volta a Torino», ha spiegato. «Questo museo è incredibile, la sua struttura, i suoi cimeli: adoro i poster dei film in particolare». Ma anche il pavimento in mosaico Bisazza del Caffé Torino nell’Aula del Tempio lo affascina: «A casa mia a Montreal ne ho uno uguale ma verde. Mi piace moltissimo».

Il tuo è un cinema che sfugge a generi ed etichette, nonostante spesso la critica cerchi di farlo continuamente.

«Cerco di non pensarci quando scrivo o faccio un film, cerco di concentrarmi sugli attori e sulla storia, sul tentativo di apprendere dai tanti errori che ho commesso nel passato. Non penso mai se verrò o meno inserito in una casella, o con una certa etichetta, cerco di non farmi rinchiudere da ciò.
Mi hanno spesso etichettato come regista queer, e anche se la cosa non mi dà fastidio credo che nel mio cinema ci sia molto di più: c’è spesso una storia d’amore, con personaggi che cercano di sviluppare la propria identità singola e di trovare il loro spazio in un ambiente. Le etichette non mi interessano, ma certamente i critici lo hanno fatto con me, chiamandomi enfant terrible o altro, ma a me non interessa. O almeno cerco di non farmi coinvolgere da tutto questo, ci provo».

La musica è un elemento essenziale del tuo cinema.

«La musica è sempre con me, in ogni momento, la ascolto spesso in auto mentre guido, accompagna le mie riflessioni, i miei pensieri, mi aiuta moltissimo anche a sentire vicini la famiglia e gli amici. Ha un ruolo importante, la ascolto così forte che sto diventando sordo dall’orecchio destro!
Ho anche scritto dei film solo per poter usare certe musiche, ascoltandole iniziavo a pensare a una storia da poter costruir loro intorno. La ascoltiamo anche mentre giriamo sul set, credo sia di grande ispirazione anche per gli attori e i tecnici, come ad esempio gli operatori steadycam, ma anche in sala di montaggio. Rispetto a una volta, poi, ho iniziato a concentrarmi soprattutto sulla musica diegetica, i brani che amo sono quasi sempre inseriti nella storia, ascoltati dai protagonisti o fuoriusciti da radio o altoparlanti».

Il tuo nuovo progetto, la serie “La nuit où Laurier Gaudreault s’est réveillé”, è tratta da una pièce dello stesso autore di “Tom a la ferme”.

«Trovo molto più semplice trarre un film da un testo teatrale, il racconto è già strutturato e puoi fare un lavoro più lineare, più efficace. Mi piace adattare il lavoro altrui ai miei gusti, non ho mai pensato a dirigere però io una pièce, dovrei prima imparare le regole del teatro e per ora non è nei miei programmi».

Sei spesso anche attore per altri registi: cosa preferisce fare, dirigere o recitare?

«Ho iniziato a dirigere solo perché nessuno mi sceglieva come attore, in futuro vorrei recitare più spesso per altri. Qualche nome? Tantissimi: adoro tutta l’opera di Paul Thomas Anderson, ma mi piacciono e mi hanno molto ispirato anche Scorsese, Coppola, Haneke, Audiard, Jane Campion, Tarantino, Sautet, Wong Kar-wai… ma anche tante registe, mentre tra gli italiani direi Luca Guadagnino».